Infinita ricchezza di un dettato poetico che sa aprire il corpo e la mente a viaggi che a dir poco sono sbalorditivi, che hanno scenari sempre verdi, sempre profumati di sensi nuovi. Il poeta si abbandona a visioni che hanno dolcezze infinite e capovolgono addirittura il senso della normalità per condurre in un luogo dove le certezze sono quelle del sogno e del desiderio. Aldo Fiorenza è una fonte inesauribile di invenzioni che entrano ed escono dalla felicità e mostrano la magnificenza a cui si abbevera la poesia. Così si aprono scenari che ridanno nome al mondo, prendono senso musiche immortali che contribuiscono a dare nuova energia ai rapporti d’amore. In ogni verso di questo libro c’è la vita che palpita e c’è la ragione suprema di entrare nelle vicissitudini del proprio amore per vantarne l’unicità, ma anche per riscrivere, rivivere e far rivivere la luce che abbaglia e frastorna. Libro compatto, teso, che si legge con amoroso sentimento, con dolce compenetrazione e che lascia in bocca la soddisfazione degli approdi e fa sentire la pienezza della libertà, la coscienza di godere gli approdi che soltanto le stelle sanno vivere, di solito. Fiorenza è il “deus ex machina” di un mondo che affascina, perché non è mai di riporto, ma sempre fresco, alto, dono che sa sciogliersi in abbracci per chiunque sa porsi nella condizione di diventare brezza dolce che arriva dal mare, canto d’usignolo, “rosa fresca aulentissima”.
CORPO D’ACQUA E DI COSMO
Tetto sconosciuto, prima del grembo,
per il mio corpo d’acqua e di cosmo.
Tegole di sognanti, materni sospiri
la volta, inespugnabile, di vento.
I messaggi del mio scontento?
Battiti disperati al cuore del mio cuore.
Sgorgai dal grembo di mia madre
come una mortale ferita
della sua ultima vita.
Sgambettai verso cieli immoti
– ardore di albori incontenuti –
e m’acquetai quando attinsi il traguardo
delle vette rosa dei seni di mia madre.
Io, un pesce fuor d’acqua.
Lei, in un vicolo cieco
dove già s’addensava la tempesta
e svuotava il suo corpo l’emorragia.
Il mio nido fu infranto,
si arrese al suo tetto sconfinato,
mandò dal nulla vagiti errabondi
si sparse per la terra – sotterra –
e, fra le rose d’oro di sole
di questi due mondi...di qua, di là...
che avevo colto,
fu nato e sepolto.
Un puro cuore
rifiorì nella terra.
I campi s’irrigano della sua anima
e, in me,
ogni luogo,
ogni sospiro
ostenta la sua vita.
Così, se io vado randagio
su per la Sua terra,
gonfio il petto da dentro
e il piede lieve la carezza
da amante innamorato.
IBISKOS ULIVIERI di Alessandra Ulivieri
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